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Golpe, università e repressione

  • GD Nazionale
  • 2 ago 2016
  • Tempo di lettura: 4 min

Qualcuno l’ha definito un “golpe civile”. Le epurazioni che ha fatto Erdogan stupiscono fino a un certo punto: è normale nel disegno di una sterzata autoritaria, come quella che è in atto, partire dal mondo dei saperi. Nessun colpo di stato può prescindere dal mettere mano al mondo dell’istruzione per imporre una produzione dei saperi che sia più stretta a un nuovo indirizzo politico. Nel mirino di Erdogan, dopo polizia, magistratura e esercito, infatti, sono entrati il mondo l’informazione, della scuola e dell’istruzione, pubblica e privata. La decretazione del governo di Ankara che di risposta al golpe, sottopone il Paese allo “stato di emergenza” conferisce ai ministeri il potere di chiudere qualsiasi istituzione o ufficio riconducibili ai golpisti. E’ stato, conseguentemente, il Consiglio per l’alta educazione (Yok), organo costituzionale responsabile della supervisione delle università turche a chiedere le dimissioni di tutti i 1.577 tra decani, presidi e rettori universitari. A questi si aggiungono, poi, oltre 15.200 tra impiegati e funzionari del ministero della Pubblica Istruzione sospesi con effetto immediato, mentre il ministero dell’Educazione ha revocato la licenza d’insegnamento a 21 mila docenti che lavorano in scuole private. Gli insegnanti sono tutti sospettati di essere legati al movimento “Hizmet” (“Il Servizio”) facente capo al predicatore e politologo Fethullah Gulen, ex alleato e ora nemico numero uno del presidente Recep Tayyip Erdogan, che lo accusa di essere dietro il tentato golpe. Il mondo accademico assume un ruolo fondamentale nella comprensione delle radici di queste dinamiche politiche e del modo in cui si sono innestate nel tessuto sociale turco. Un elemento emblematico, infatti, è dato dal fatto che l’ascesa di Gulen è stata segnata, esattamente vent’anni fa, dalla fondazione della prima università non statale in Turchia. Sarebbe stato quello il momento a partire dal quale il predicatore e politologo ora in esilio negli Stati Uniti avrebbe costrutito quella che l’apparato governativo di Ankara definisce oggi una “struttura parallela da smantellare”, controllando associazioni professionali e studentesche, organizzazioni caritatevoli, aziende, scuole, università, radio, televisioni e quotidiani. Da quando poi l’attuale presidente islamista ha preso in mano le redini del Paese nel 2003 come primo ministro con l’intenzione di farne una nuova potenza ottomana, guida illuminata del Medio Oriente. Per riuscirci non ha soltanto moltiplicato l’attivismo del Paese a sostegno degli islamisti della regione ma ha anche iniziato a smantellare la struttura secolare costruita da Mustafa Kemal, il militare che fondò la Repubblica turca, all’inizio del secolo scorso. Colui che, per i suoi sforzi di modernizzazione, si guadagnò quel celebre appellativo a cui forse vorrebbe ambire oggi Erdogan: “Ataturk”, padre della nazione. Una nazione, quella che vorrebbe oggi Erdogan, islamica, neoliberale e obbediente. Ha pertanto iniziato a riformare la scuola pubblica fondata da Ataturk. Gli ultimi avvenimenti che colpiscono il sistema di istruzione, d’altro canto, non fanno altro che consolidare un disegno di attacco al sistema scolastico e universitario turco cominciato nel 2014. Aveva iniziato permettendo alle studentesse di frequentare l’università velate. Ma poi è andato ben oltre. Ha diviso gli otto anni di scuola primaria in due cicli di quattro ciascuno e, mentre prima delle riforme scolastiche l’insegnamento di quegli otto anni era comune a tutti e le scelte di indirizzo di studi si compivano a 14 anni, il governo di Erdogan ha introdotto la possibilità di frequentare una scuola religiosa a partire dai 10 anni. In molti villaggi della Turchia centrale le scuole religiose sono sempre più spesso l’unica scelta. E perfino a Istanbul i vecchi licei di eccellenza, dove si entrava soltanto dopo avere superato un duro esame, sono stati chiusi e rimpiazzati da un numero crescente di istituti dove l’argomento principale di studio è il Corano. E’ diventato obbligatorio persino avere una stanza della preghiera per i ragazzi e una per le ragazze, entrambe riservate agli studenti musulmani di matrice sunnita. Gli studenti arabi alawiti e i cristiani durante l’ora di preghiera si disperdono in cortile ma durante le due ore obbligatorie di insegnamento della religione gli alawiti sono costretti ad assistere alle lezioni. La corte di Strasburgo ha bocciato l’introduzione forzata dello studio della religione islamica in versione sunnita ma il governo turco è riuscito ad aggirare il divieto introducendo uno spazio dedicato ad altre religioni. Questo duro colpo al mondo dell’istruzione della Repubblica di Turchia, pertanto, non è altro che un atto autoritario che suggella due anni di interventi che hanno già pesantemente minato la laicità e l’autonomia di pensiero delle scuole del paese. L’intento di Erdogan assume pertanto una doppia valenza. Da una parte colpire il mondo accademico per attaccare i seguaci di Gulen, dall’altra c’è in ballo il consolidamento del proprio potere culturale e della propria idea di società islamica. Un obiettivo che vede nel controllo dei processi di educazione e formazione la leva fondamentale per la trasformazione della cultura turca, rovesciando definitivamente l’impianto kemalista attraverso il quale lo stato ha sempre mantenuto radici laiche e democratiche, pur attraversando, in passato, forti periodi di instabilità politica segnati da altri quattro colpi di stato. Quella di Erdogan finora è stata una democrazia parlamentare di facciata che ha nascosto una dirompente deriva autoritaria di stampo islamista, vestita con panni di modernità. Un’erosione strisciante dei diritti e delle libertà che non può non allarmare l’opinione pubblica democratica in Europa. Unione Europea alla quale Ankara chiede di accoglierla a pieno titolo e non esita ad usare l’arma del ricatto dei rifugiati per ottenere concessioni. In questi giorni tutto il mondo accademico italiano sta prendendo le distanze da quanto sta accadendo in Turchia. La Conferenza dei rettori italiani (Crui), in accordo con la posizione assunta dall’ “European University Association”, ribadisce in una nota il proprio supporto e appoggio alla grave situazione, ribadendo come, già nell’immediato, le misure del governo turco provochino gravi danni alle collaborazioni oggi attive e stabilite.

Il nostro appello non può che andare a tutta la popolazione studentesca europea affinché tenda la mano ai compagni studenti turchi e questi possano organizzarsi e sollevarsi in nome della libertà dei saperi.

GD Nazionale

 
 
 

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